Marco Vitale (Napoli 1958) vive a Milano. Le sue poesie sono raccolte nel volume Gli anni (Nino Aragno Editore 2018) che comprende i seguenti libri: Monte Cavo, Edizione del Giano 1993, L’invocazione del cammello, Amadeus 1998, Il sonno del maggiore, Il Bulino 2003 (poi in Bona Vox, Jaca Book 2010), Canone semplice, Jaca Book 2007, Diversorium, Il Labirinto 2016.




Hai mai guardato in volto la Tarasque?

Dal suo scranno in capitolo l'abate
di Sénanque non la perdeva
per consegna di vista
e ne additava ai confratelli
le lusinghe e le insidie
Gli occhi presi in un soffio
l'enfie gote i baffi
in aria, come quelli di un gatto
spezzavano il nitore cistercense
a dare segno al male
nella pace e monito
sulla via delle stelle

Esule Joseph Roth ne colse l'animo
di mostro casalingo e pacioso
la sentì amabile sotto un azzurro
troppo, troppo tardi trovato


*


LA SOURIS


Non si sente più nulla
tutto è fermo
hanno teso da tempo le invisibili
nappe, tutto tace
Da dove cade
unico di riflesso e doratura quel raggio?
Dove batte e rifrange
per azzardo di iridi?

Ospite impreveduto, caso opaco
mi chiamò un giorno
un capriccio di ragazzo
una setola intinta in un impasto di ocre

Oh tu che mi hai lasciato qui tra questi tralci
gelidi e maturi, tra questi calici
dove il timore si specchia
e interroga il silenzio, solo questa
di te rimane mia aporia

mio indebito tralucere nel sogno


*


ABBAZIA DI FONTENAY
                  
                                                                   per Giancarlo
Entrano piccole rondini
sotto le geometrie della crociera
e ne svolano
il tratto è bianco rado guano
macula il sonno dei gisants
È vero - lo ricordava un vecchio
western all'italiana - “la rivoluzione
non è un pranzo di gala” e niente
come le poche strida
in questo ora diffuso
portato del silenzio
te lo fa pensare

Fuori un platano che i monaci
posero in quel precipite
XVIII secolo dimora
dritto e snello
ha fresca chioma e la calura
non teme
come il veloce topodacqua

A parte questo stiamo bene


*


Anime, e che cos'altro qui?
Per questo scabro purgatorio
al limitare del silenzio,
di una luce sui colli senza oltraggio
smemorata

Anime tra questi pini
che disegnano
una perduta eleganza
e una stagione del ritorno
non vi inganna

Anime di cunicoli
di braci spente
di ormai scordate
rime in fiore e amore


*


Ci sarai stato pure tu
scendendo alla stazione in questo
vecchio, chiaroscuro caffè
tra questi legni che conservano
un'idea di dopoguerra
e un tempo che mi pare così tuo
Vano saperne qualche cosa
e certo vano immaginare
lume più chiaro dei tuoi giorni
di arrivi e di partenze
di Orario Pozzo che non appresi
a decifrare mai
ma riluceva nel suo giallo
e bruno come un talismano
se nervoso sfogliavi

È tutta qui nel suo risveglio
levantino la piazza e tinge
vivida un azzurro variegato di voli
da me seguiti oltre il riflesso
a ricordare il fiore

che dove sei non ti ho mai più portato


*


LA COLLINA DI FOURVIÈRE


Non ricordo in che punto dell'ellisse
che dispone con cura le raccolte
dei primi secoli dell'età volgare
si conservi una stele col mio nome
un manufatto scabro, ma inciso
in capitali di una certa schiettezza
Parla di un Marcus Vitalis
che nell'antica Lugdunum
divenuta romana - ora la limpida
elegante Lione -
tenne una mescita di vino
e fu una specie di console
di sindaco della corporazione degli osti
Visse grazie a quel timido arbusto
solo da poco conosciuto e lì giunto
con i calzari di Cesare: un segno
certo di conquista, un bene
a troppo caro prezzo? Un lembo
grato di destino come l'uso
liturgico - di lì a poco -
lascerebbe supporre?
Se ne può discutere a lungo
anche a partire
da questa semplice traccia


*


PALA DI BRERA


Ora che quelle tavole risplendono
di nuova mano
in uno sfavillio di tempere le avresti
silenziosa tu accolte, come un presagio
È una festa un restauro
così perfetto e provo a fingere
il tuo amore di un altro secolo
se a me compete di tenerlo
vivo nei presupposti
a fondo della retina, e vale il segno
di un tempo lume, prospettiva

un tempo caro all'indaco
fuggevole, e le ombre





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