Stefano Scandella è nato a Cugnasco-Gerra (TI), appena terminato il percorso di studi di letteratura italiana e filologia all'Università di Friburgo e pronto per iniziare a settembre un percorso di dottorato all'Università di New York.




I Ach, wo ist Juli…

Indiscretamente fastidio
quest’oziosità, la vostra, esposta in vetrina,
                                                   al flâneur disteso (ridicolo).
Rompiamoli tutti, questi vasi orribili;
la Rivoluzione, a chi non piace, basta arrivare 
                                                   in piazza a conti fatti.
Canta ancora il morto
stramazza, il gallo.
«Non ho mai visto nella mia vita un cadavere». 
                                                   - solennità postrema -
Fortunati, troppo nel loro fremito assolo di vita,
i folli.
Noi invece camminando, ci sporgiamo oltre 
per evitare l’incontro con l’abisso
troppo associale, per Noi;
anime quiete, troppo quiete, morte.

Suona ancora te ne prego, il tuo fraterno strumento
creatura lieta.
Forse danzerò un giorno al ritmo corale dell’amore puro 
e per questo ti ringrazio





II All’amico francese

La corrente a noi ti riporta
realtà inflessibile, e dura.
Poi noi ancora ti portiamo
dove pochi occhi soltanto
t’accoglieranno.

Non è per te, questa meticolosa cura;
soltanto il nostro, di giardino
potiamo incessantemente.

all’amico francese
e alla sua compagna
dal dolce nome.



III All’amico francese

Se poi la vita tutta
si risolvesse in un gorgo
del suo comico calembour?

Allora, certo, dicesti «Addio,
dove, il senso
d’escogitare nuovi costumi
per poi d’eternità il ritrovamento
scovare di nuovo gli stessi
occhi…».




IV All’amico francese

Pallido fondale coralligeno
livido di morte accogli i nostri 
sospiri, rinfrancarsi dei lunghi frangenti,
il tuo viso.

«Non temete d’essere felici»,
sentenziava l’avvocato penale,
accanto i russi allegri, il simposio litorale;
vino offerto: la guerra fredda
è sciolta.

Torniamo, tutti, a casa.



                                            agosto, l’anno non importa.






V Stradòn da San Zen

Ombre filanti in trame di rami
nelle distanze recuperate di fretta,
troppo di fretta – come d’infarto –,
non ho la voce per dirti di cercare le maglie rotte nella rete
del recinto abbandonato.
«Qui una volta stavano gli asinelli».
Viale notturno lastricato di ricordi
di tumulti distanti, non dimenticati.
Poco il tempo per la comunione, eppure
dalla quiete apparente scoppia
il tragico addio, finito in un sapore amaro per entrambi,
nella guerra che è sempre senza vincitore – dicono –
si staglia in alto l’obliqua cruna,
icona di un cammello in una grondaia.





VI Traversata oltre confine

Avanti e indietro scorrono a comando
in litanico fervore, le lettere sacre
cantando squillanti e incessanti
le parole del loro profeta.

Si buttano, per quelli laggiù,
parti anatomiche, d’una tecnologia
antiquata e scialba.
E via parte la corsa degli spezzati,
corrono per sé, per i propri affetti.

Traversasti il deserto scegliendo di 
rinchiuderti nella gabbia da cui fuggisti
agognata libertà mai risolta.

Non sono poi così diversi, oltre quel velo
che nasconde speranza, incertezza e paure umane
ricercanti ognuno di colmare il vuoto.




VII Frammento di Sincopatìa

È la tua danza silenziosa
mentre non mi chiedi
di rivolgere i passi, verso casa.

Era del cuore il ritmo                                          scordato
di passati affilati,
sinuosi. L’edera seccata 
nell’addio scialbato.

Sgorgano ancora lungo le pareti
sradicando gli alberi in tua, forse, asintotica presenza
lacrime sincopate.





ritorna a Fluire 11












E-mail
Chiamata