73 Fabio Jermini

     Corpi gabbia d’ali e unghie

    Immagine: Andrea Palandri

     pagine 32

   gennaio 2015



(Lugano, 1988) è assistente di letteratura italiana del Medioevo e del Rinascimento all’Università di Ginevra e lavora a una tesi di dottorato in filologia sui sonetti di Cecco Angiolieri sotto la direzione del professor Roberto Leporatti. Ha collaborato all’Atlante dei canzonieri in volgare del Quattrocento di T. Zanato e A. Comboni (SISMEL, Firenze, 2017) e, con C. Pistillo, all’antologia Perché tu mi dici: Poeta? (La Vita Felice, Milano, 2015). Laureatosi nel 2013 sulla poesia di Milo De Angelis, ha pubblicato il volume «Intervallo e fine». Commento a una sezione di «Somiglianze» (Pensa MultiMedia, Lecce-Brescia, 2015). Collabora a «Cenobio». Ha esordito come poeta con la raccolta Corpi gabbia d’ali e unghie (alla chiara fonte, Lugano, 2015).



dalla Sezione I


«...LÌ SARÀ PIANTO E STRIDORE DI DENTI»


poi, essere troppe volte il treno che corre lanciato
nella notte del finestrino seguire lucciole
campeggiare strisciare sfilarsi
nell'angoscia annegare le scelte sbagliate, curare
col dolore quel respiro mancante
le lacrime fermate ed evitabili
negando quella verità voluta
senza volontà né coscienza di

negare o rimpiangere le inutili distanze d'anni
per solo acuire ricordi, capire le azioni
e passive passioni
ricerca di come poi si vorrebbe apparire
seppellendo stupide pulsioni istintive
idee di sé stesso infedeli
mentre la stessa tumultuosa realtà dell'animo
è un bugiardo tentativo

vita immenso teatrino di menzogne
parzialità certo troppo umane, in eventi
situazioni incontri sentimenti sporcati
dalla condanna d'un vizioso carattere odiato
dall'attrazione fatale all'inganno
la collezione di sorrisi, strette di mano                                                   quando quello scatenare riso stupore ira
misura il vuoto

l'abbraccio, le mani, quel bacio distante
nell'assurdo amalgama onirico
la pressione dei seni sentita più volte
quel pomeriggio quasi sepolto del biliardo
e il divanetto, letizia sulle labbra,
incontrollata gioia pressando l'albo
l'ansia nello stomaco col freddo non causa
ma scusa la paura di scivolare frenata al braccio

essere interrogati e non sapere ma rispondere
perché muti, sconfiggere manichini
e fuggire infine trafiggendo un cuore
presenza onesta che quasi è tradimento
perché la distanza non conta, nemmeno forse esiste
tra l'effigie e la sua idea, tra parole e sospetti,
tra le pentole i tavoli i mestoli
e le primavere della donna.


FLEURS ET FRONTIÈRES


Già calcolato, il nulla risulta apodittico,
solo disdetto ora che nel cielo lilla spunta
un palpito rosa
di stella dïana, in sincrono al cuore, che
vuole lontana, nel vuoto verso
d'un'estate afosa.

Camminando sul ciglio del silenzio
ogni parola ci appare banale.
La voce manca, appena la mente
lì, scorge il giglio.


dalla Sezione II a Chiaretta


Ancora e poi di nuovo scende la strada fumicosa
senza rumore in un mondo di nubi e frastuono.
Luminosa, talvolta sofferma su soffici sillabe
di chiara luna l'ansia di destare i ricci.

Giorno dopo giorno alla fine è qui
tanto improvvisamente che sogno dopo sogno
difficile è dire dov'è. Così, fuori dal blu,
non sapevo sognasse me, e allora dormivo.



Trepidazione. Squarcio. Risate e ghirlande al di là,
nel giorno nuovo. Dimenticando il tempo andato,
lassù salgo i castelli, impetrato nei merli muto
di lei non so e lei non sa, lei non sa perché
sugli occhi dei bimbi cosparga sabbia
la sera quando il tuono lontano mugge e rugghia,
e sopra corpi gabbia d'ali e unghie
la bianca neve a cono cade soavemente.



Gemelli di gazzella, avorio, cuscino, granelli,
e seme e spuma, e tu, pesciolino tropicale
nascosto tra le rocce: sei l'eco di un punto nel tempo,
un'ora e giorno che non saprei ma riconosco.

Ritrovato l'oblio, possediamo
saggezza dell'intimo, filo d'argento appeso
al cielo o sequela di sassi,
sospirante distesa presenza ansimante.


dalla Sezione III


Luce che più non vediamo e brucia i ricordi
di quando una volta eravamo falsamente innocenti
dentro le piaghe feconde d'ardenti passioni
contate un mattino che c'era, come a pochi, dovuto.

Scomode tacite lune nutrivano dubbi
e mosse azzardate; così, considerammo le squame
cornee lucide rughe, sottili risposte
concesse in orario, pensieri di candido catrame.



POÈME MYSTIQUE


Se vespertino scende decapitato il monte
del cuore il martire, se l'anima rinnega il fiume
rifluendo a riva il marciume del mediocre,
se toglie l'aria al bersaglio la notte
di tossici e puttane, se genuflesso sull'arenaria
bigia il trono a parole rode l'orecchio
– custos, custos, quid de nocte? –
ben tra gli strapuntini s'annienti una stupida
età pallida di verderame e si consumi il cielo
in questo pianto di squallidi lampi.





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