64 Giovanni Orelli

     Frantumi

    Immagine: Cesare Lucchini

                      “Quello che resta”
                      olio su carta

                      2010

     pagine 48

     novembre 2013


Giovanni Orelli è nato a Bedretto nel 1928. Ha insegnato in vari ordini di scuola, vive a Lugano. Ha pubblicato tre romanzi da Mondadori (il primo è l’Anno della valanga , uno da Einaudi, Il sogno di Walacek , e due da Donzelli, Il treno delle italiane e Gli occhiali di Gionata Lerolieff.

Ha pubblicato diversi racconti “ticinesi” (la raccolta più recente è Da quaresime lontane ), e diverse raccolte di poesia, tra le quali Un eterno imperfetto uscita da Garzanti.

Nel dialetto di Bedretto ha pubblicato le poesie di Sant’Antoni dai padü (Scheiwiller); in italiano due raccolte di sonetti, Quartine per Francesco (Interlinea) e Concertino per rane (Casagrande).

Ha curato un’antologia (storia e testi) delle lettere nella Svizzera italiana e, con Diana Rüesch, il Carteggio Bertoni-Chiesa. Collabora al settimanale “Azione” con una pagina quindicinale di segnalazioni librarie.

Nella primavera del 2012 è stato insignito del Gran premio Schiller.

Con la casa editrice Messaggi Brevi ha pubblicato nel 2000 Farciám da Punt a Punt. Facezie dell’alto Ticino e, nel 2008, Immensee. Tra Chiasso e Basilea.

Del 2014, racconti in I mirtilli del Moleson, Nino Aragno editore, Torino, 2014.

Per alla chiara fonte ha pubblicato una prima silloge delle Quartine per Francesco, 2003; Cata mia da sàvei, 2004 e la raccolta Frantumi, 2014.




Prefazione

Chi non ricorda l’attacco di Sant’Antoni dai padü, con l’io lirico che invoca l’ausilio del Santo per fargli ritrovare la ragazza friulana che andava a Winterthur, incontrata in un vagone di seconda classe e mai più rivista? Una reincarnazione, sotto altre spoglie, di quell’indimenticabile tusa biunda appare in una delle più toccanti tra le poesie che Giovanni Orelli ha raccolto in questo libretto, edito per festeggiare i suoi ottantacinque anni. Nella poesia intitolata A Farewell, un sonetto di quelli orelliani, con i versi più lunghi del normale endecasillabo, si assiste infatti a una replica della medesima situazione esistenziale: il fuggevole incontro in treno con una donna giovane o attraente e il successivo addio, già iscritto nell’ordine delle cose, all’arrivo dell’uno o dell’altra alla propria destinazione. Chi vuole, pensi alla passante che affascina Baudelaire in una rumorosa via di Parigi (O toi que j’eusse aimée), ma forse, ancora meglio, il pensiero dovrebbe andare alla giovinetta triestina che incanta il vecchione sveviano in una delle “continuazioni” della Coscienza di Zeno. Perché il personaggio di A Farewell è vecchio, anche se, non diversamente da quando era giovane, di fronte alla bellezza muliebre resta ammutolito. Questa volta, tuttavia, l’eterno innamorato riesce a balbettare una frase di congedo, in inglese, poiché lei è straniera (I’ll never never see you again), e in extremis le manda un bacio con le dita, che la bella ricambia con un lampo di divertimento negli occhi.
Il testo di Giovanni Orelli tocca corde profonde, celebrando la struggente irripetibilità di ogni istante della nostra esistenza, e suona quasi come un saluto d’addio alla gioventù, alla bellezza, forse anche alla poesia. In realtà, l’io lirico che prende la parola in questo libretto, se è ben conscio dei guai che porta con sé la turpis senectus, continua goethianamente a vivere e a scrivere, e a godere di quella franchigia o licenza che è concessa soprattutto ai vecchi: ad esempio mescolando i temi e i generi, e variando le forme, dal sonetto, ai distici di martelliani a rima baciata, alla metrica libera. I lettori sapranno scegliere da soli; per conto nostro, tra i testi più felici del libretto indicheremmo Incespicando, con il sapiente uso del gerundio a unire incipit ed explicit, e Vocali, con il nipotino che riscuote il nonno da un passeggero torpore e lo richiama energicamente al lieto guazzabuglio della vita.

Pietro De Marchi




FRANTUMI

È morto, via del Tiglio 39, Hans
Gut, anni novantadue.
Solo viveva al primo piano.
Giovanni il buono traducevo. Andava
nel suo stato di entropia (disordine)
con due bastoni (due sedie Pascal,
una di qua una di là, per l’orrore
di metafisico vuoto?)
Sono venuti con furgone
a liberar l’appartamento. “Butta”
ordinava uno che di notte
avrebbe potuto fare il buttafuori,
ai soci del balcone. Che buttavano
reliquie del fu Hans Gut.
Per guadagnare spazio anche gli specchi
che andavano in frantumi.
tra il pattume
qualche giornale, anche un’ “Azione”
conservata
per qualcosa dell’inquilino al quarto, io:
sic transit gloria inquilinorum.
Così lui, con suo nome
come di certi medioevali,
Luigi di Santo, Riccardo
Cuor di Leone, lui
semplicemente Hans Gut.




LA MAESTRA DEL ZÜRICH 4

La maestra? Si chiama Maria Grazia.
Noi, tra di noi, diciamo Maria Grassa.
Certo nessuno glielo dice in faccia.
Facciamo come con le parolacce.
La verità è un coltellaccio di cucina.
Anche un bambino lo sa
se non è già bambo cretino.



AL FUNERALE DI ALDO

Non ti ho mai visto vestito così bene
come oggi, nel giorno del tuo funerale.
Riuscirò a imitarti?
Anche per te, come pei semplici di un tempo,
l’abito delle nozze era (è?)
quello del funerale. In più, in te,
gilet e cravatta.
Mai ti ho visto così. Ma sempre
o in grigioverde militare
o in canottiera nel far fieno.
Ma il tuo volto è rimasto
tranquillo e confortoso.
Solo non ho più visto, come tutti,
i tuoi occhi certamente dolci
anche nel sonno della morte: chiusi.


CON LA TURPE VECCHIAIA

Entro negli anni ottanta.
La pecora non canta,
non cantan più gli uccelli
l’asino (io) è “loco”.
Speriam nel tempo bello
d’altro si spera poco
si sta vicino al fuoco
chiuse a chiave le porte
per ladri e malasorte
e se viene la morte
quella va dappertutto
passa attraverso i muri
facciamoci gli auguri
scongiuri e complimenti a
duemilaotto incombente,
che vien su fango e ghiaia
con la turpe vecchiaia.




CAMERA SEMI-PRIVATA

“Con chi sei lì? l’hai visto bene in faccia?
con un ladro? un bandito o è una spia?
Si è presentato? Ha detto cosa fa, chi sia?
è svizzero? ha tatuaggi sulle braccia?

sulla schiena sull’inguine? Sai se è in guerra e con chi?
che sia lui il bastardo il lo sconfitto
dal proprietario colto sul fatto in occupazione (o affitto?)
di altrui semiprivato letto coniugale. Di altri la “metà” !

Russa? o peggio? Ho in mente un, Dio l’abbia in gloria,
nel cuore della notte lui frugava, in sua privata
scatola di latta, sai coltellini chiavi monetine; sai tutta una genoria

ospite in paradiso-casa-per-anziani sempre affollata:
tu pensa alle stracolme carceri, all’incertissima uscita.
Uno ci può marcire per il resto di sua vita.


*


Incespicando io
tra se e ma: sì – diceva mam – è che
ti ho tirato su con la paura,
nato tu tra due fratelli mortimi bambini
sì che tremando e dubitando
ti ho cresciuto, proprio tu, come chi va
su passerella senza sponde
con i piedi tentando
sopra torrente in piena
quasi tu e io insieme tra le onde
giù precipitando




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