13. Agostino Colombo
Ci fosse un'altra vita
maggio 2004
pag. 32
immagine di copertina: contatto kodak,
fotografo ignoto, inizio '900
Agostino Colombo è lo pseudonimo di Mauro Valsangiacomo.
Nato nel 1950 è artista visivo ed editore.
RADICI
Sono nato ai bordi di uno stagno tra i canneti,
ho ancora addosso il sapore del germoglio
e il freddo del vento che soffia tra le foglie;
sono nato sotto la ragnatela e il nido del passero
e ho visto luccicare il luccio quando veniva il temporale
e certi barconi avvicinarsi alla mia casa di canne
come per prendermi con la loro civiltà e le loro regole,
mi nascondevo tra i rami più folti, ero come una lucertola
o un topo di campagna, ho sempre avuto un rifugio
dove nascondermi agli uomini, sono invecchiato
e conosco molto bene lo stagno, le canne, l’umido
ma non so quasi niente di loro, miei simili.
CI FOSSE UN'ALTRA VITA
Appaio in maniche di camicia bianca a righe fini e blu
come un fantasma su di un carro che sarebbe poi tutto
per me se ci fosse un'altra vita da vivere in un altro tempo e tu
calzoni sdruciti, maglietta bianca che sembri
un pesce fuori dall'acqua
accoccolata al fianco; tu macedone o alessandrina o lombarda,
tu profumata di chicchi di riso, capezzoli ardenti e cieli tersi
e mani che se fossero state queste nostre vere
non si lascerebbero più;
invece solo fumo e sillabe che fanno sognare un tempo altro
da questo estremo che ci è dato in sorte, cavallo
carro e una certa violenza del vivere che come donna
non capiresti mai:
io uomo in giacca scura e spessa, in velluto direi, e bombetta;
uno spaventapasseri di mezza età in mezzo all'erba alta,
un capo, un contrabbandiere, un uomo antico
e tu la donna a lui seduta accanto
su di un carro che ha un secchio in latta agganciato
e dondolando batte
e fa l'eterno rumore dell'andare e un telo per fare ombra
quando si fa l'amore e si dorme nel viaggio che non termina mai
e del quale soltanto tu sapresti qualcosa ma non sei voluta venire.
LA GIACCA È POLVEROSA
La giacca è polverosa, la camicia ha il collo unto e mancano i bottoni;
più che i bottoni mi mancano le tue mani e di prenderle nelle mie
e tenenerle con me perché sei una donna di terra
e io un uomo di terra.
Ti ho mai parlato delle scarpe? Sono stanche e con stringhe vecchie
e i calzoni molli di fustagno stanno su con la corda e sui prati
sfiorano col bordo i fiori e le erbe profumate - guardo in dietro,
resta il segno del passo ma poi l'erba si raddrizza subito
perché vado via leggero; se tu venissi a far la pellegrina con me
al santuario della terra potremmo accenderlo insieme il cero di sego
e ringraziare; là c'è un albergo per chi passa la notte e una locanda:
ci tratteremmo bene: fare l'amore a lungo e dormire il mattino.
Ma se non vieni io vado lo stesso a ringraziarla questa terra.
HO FAME
Immagino spesso come vivono i ricchi coi camini
e l'interno tiepido e suona sempre un violino
e nelle camere si muovono senza fare rumore,
senza urtarsi, senza neppure lasciare un odore:
con tanti figli tutti bene curati e educati e sani,
ho immaginato le bellissime donne spogliarsi e curarsi,
lasciarsi amare, amare, addormentarsi. Fanno tutto
sottovoce e con calma e senza spargere sentore,
o quando vanno giù negli alberghi dei mari
che sono tutto servizi e cerimonie deve essere un piacere
esserci con l'abito scuro, il farfallino e l'anello col nome
sulla pietra nera grossa come un fagiolo
e l'inchino quando il garçon porge il vino
e salatini e pizzette e tartarughine viziate di senape nera,
foie gras di serpente in un letto di noci, nocciole
di fritto bollito e timballo di polipi in sugo di carne,
polpaccio di miele al profumo di piede di porco
mandibole secche di bufala al latte di corva,
minestra di semi spaccati e sputati da denti avariati,
ditate nell'occhio alla greca, unghiette infilate in detriti di schiuma
e per finire carciofi di campo gelati con brina di carne in lattina:
ho fame.